Arrampicato a mezza costa a qualche centinaio di metri dalla strada che va da Olbia a Sassari, c'è Berchidda, paese natale di Paolo Fresu.
Certo, qui la Sardegna non presente quell'aspetto aspro che spesso offre altrove. Innumerevoli querce da sughero e vigneti tenuti con cura addolciscono le colline in cui Fresu ha passato la sua infanzia.
Terra rude dal passato misterioso - tutt'oggi si sa molto poco della civiltà dei nuraghi che ha sparso in tutta l'isola centinaia di torri megalitiche - la Sardegna è anche un paese di musica, l'unico in Europa ad aver conservato tradizioni musicali immutate dai tempi preistorici, che hanno affascinato i musicologi, come Alan Lomax o Bernard Lortat-Jacob.
Strumenti strani come le 'launeddas'che si suonano a respirazione continua, tradizione poetica del canto improvvisato, tecniche vocali incredibili che fanno irrompere dai quartetti 'sos tenores' la miracolosa armonia detta 'quintina', tutte ragioni sufficienti, forse, a spiegare come mai la Sardegna abbia partorito tanti musicisti di jazz eccezionali, da Marcello Melis ad Antonello Salis.
Non aveva ancora compiuto vent'anni, e già si sapeva che Paolo Fresu sarebbe diventato uno di loro. Dalla sua partecipazione all'orchestra del comune di Berchidda ad una brillante carriera internazionale, passando per i seminari estivi di Siena, il giovane virtuoso ha bruciato le tappe e oggi ha già raggiunto la maturità, come dimopstra Angel, in cui si armonizzano felicemente tutte le tradizioni e tutti i registri che hanno 'fatto' il trombettista Fresu e che oggi ci restituisce a suo modo.
I melismi popolari ancestrali, la canzone italiana, i vecchi standards americani -'Everything happens to me', è il caso di dirlo- che gli facevano immaginare un altro mondo quando ancora non conosceva che quello di Berchidda: c'è proprio tutto, insieme alle composizioni dei suoi brillantissimi soci, Nguyen Le, Roberto Gatto e Furio Di Castri, ma anche alle sue (sublime 'Fellini'...).
E Fresu fa cantare il tutto con una voce che ormai è soltanto sua.
Anche se, senza dubbio, è portato sempre da quel vecchio fondo sardo, sotterraneo, nascosto, ma attivo, che non l'abbandonera' mai.
Un fondo di lirismo immediato che attraversa lo strumento al punto da farlo dimenticare, lasciandone solo la carezza.
Allora, 'Accarezzame', come dice la canzone.
Daniel Soutif
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